Per essere buio era veramente buio dentro quel cinema abbandonato. Pensammo seriamente di trovare da un momento all’altro un fantasma dietro la schiena.
Camminavamo tra le poltroncine in legno che occupavano la sala del cinema. Di fronte a noi un maxi schermo non più bianco come si presumeva fosse stato in passato. Il tempo aveva fatto assumere un colore giallognolo a quel immenso telo.
L’odore di muffa entrava nei nostri nasi e sentivamo il rumore dell’acqua scendere a gocce da una parete. Qualcuno era stato lì o forse qualcuno era ancora lì.
“Ragazzi andiamo via. Questo posto mi mette paura” dissi ai miei compagni di viaggio
“Vuoi che chiamiamo la tua mammina? Vuoi farti venire a prendere? Oppure ti accompagnano in chiesa? Dai!Sbrigati, cammina e andiamo a vedere cosa c’è la sopra” disse Massimo indicando una porta che si trovava proprio sopra la nostra testa.
Quattro scalini cigolanti ci dividevano da quella porta e ad ogni passo pensavo che i fantasmi ci avrebbero preso, catturato e portato in qualche altra galassia sperduta di un pianeta lontano. I cartoni animati parlavano solo più di quello. Di robot e di universi paralleli.
Anche quei telefilm che si intitolavano “piccoli brividi” e di
cui non perdevo una puntata, non mi aiutavano a superare la paura.
“Ci siamo! Apriamo la porta.” Disse Carlo spingendoci un po’ indietro.
La porta si aprì e davanti a noi decine e decine di bobine di vecchi film. Erano tantissime e iniziammo a sfogliarne qualcuna. Non si capiva molto cosa ci fosse impresso su quei nastri e bisognava andare in controluce per decifrarne le immagini. Ci sarebbe voluto un po’ più di barlume in quella stanza cupa e buia. D’un tratto Massimo tirò fuori dei fiammiferi sparsi e ne strofino’ uno contro il pavimento per accenderlo. Ci si apri un mondo.
Vedemmo susseguirsi le
scene di un film storico con tanto di carrozze trainate da cavalli e uomini vestiti da antichi romani. Continuammo a srotolarlo e a ogni scena a commentare con una parolaccia molto in voga al tempo. Eravamo talmente assorti che non ci rendemmo neppure conto che dietro di noi c’era qualcuno. Un adulto.
“E voi che ci fate qui?”
Buttammo a terra la bobina facendone cadere altre. Ci girammo verso questo signore è quasi impietriti e con il cuore a mille non parlammo. Avevamo nuovamente assunto quell’espressione angelica che tanto commuoveva le nostre mamme.
Ma stavolta davanti a noi non c’erano le nostre mamme, bensì un signore estraneo che si trovava nella casa dei fantasmi. Sicuramente Il padrone del vecchio cinema abbandonato.
Pensai che avrebbe tirato fuori un coltello da un momento all’altro e che ci avrebbe rapito. Avevano ragione le nostre mamme. Lo sapevo. Chissà se saremmo mai usciti vivi da quel posto. Lo sguardo di questo signore non riuscivo bene a decifrarlo. Il suo volto lo si intravedeva appena tra il chiaro e lo scuro della finestra bloccata da un asse di legno che nascondeva la luce.
Vidi solo che aveva capelli lunghi e neri. Era grande, anche più grande di mio fratello, pensai. Quasi un adulto.
“Venite giù! Qui è pericoloso. Vi fate male”
Seguimmo questo signore che ci accompagno sotto e ci disse di sederci. Assieme a lui c’erano altre persone. Erano tutti con i capelli lunghi. Uomini e donne. Uno di loro si avvicinò a quello che restava del palco e inizio a scrivere qualcosa su di un grande striscione bianco.
Le donne ridevano e scherzavano. La sala si riempì di odore di fumo. Tutti avevano una sigaretta tra le mani.
Capimmo che mentre guardavamo le vecchie bobine, gli abitanti di questo cinema erano rientrati a casa.
“Ma voi vivete qui?” Chiesi al signore che ci fece scendere dalla cabina di proiezione.
“No! Abbiamo occupato il Cinema con i nostri amici. Da oggi se volete potete venire anche voi a stare qui. Venite quando volete. Ma fate attenzione. Qui è pericolante un po’ dappertutto”
“Grazie. Ma adesso dobbiamo proprio andare” dissi io senza mai guardarlo negli occhi. “Magari torniamo domani”.
Ero certo di aver trovato il modo per uscire, ma arrivati alla porta il signore si riavvicino e ci chiamo.
“Hey ragazzi! Aspettate un attimo”
Tutti e tre cugini ci guardammo negli occhi. Non eravamo ancora riusciti a scappare da quel posto. Eravamo arrivati proprio ad un passo ma adesso venivamo nuovamente fermati. Ci avrebbero rapiti, ne ero certo. Non doveva essere gente brava.
Democrazia Proletaria, pensai. E mi tornarono in mente per un attimo le parole di mio padre quando un signore durante una tribuna politica in TV asserì di far parte di quel partito. “Lazzaroni e fannulloni” imprecò contro quell’uomo. “Andate a lavorare invece di occupare!” Continuo’ sbattendo il pugno contro il tavolo.
Pensai che se ci avessero rapito mio padre avrebbe comunque scoperto che era opera loro. Ci avrebbero salvato. Forse. Ma i pugni sul tavolo lo tirava anche per tanti altri signori di altri partiti.
“Dove abitate?” Ci chiese il signore dai capelli lunghi.
“Scappiamo!” Disse Massimo lasciando di stucco il nostro carceriere.
“Hey! Dove andate? Venite qui!”…
…continua..
….gli anni ’70
di Alessandro Baccetti
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