Che faccio? Ne parlo o non ne parlo? Rischio di affrontare un discorso di cui nessuno vuole credere sia logico farlo. Rischio sicuramente di cadere sul banale. Affrontare un discorso di queste dimensioni non è certo da blogger inesperto come me.
Ma si, facciamolo. Magari partiamo con qualche ricordo degli anni passati. Colleghiamo la storia di questa assurda malattia con il tempo andato.
Quello della mia generazione. Noi degli anni ottanta non verremmo certo ricordati per aver compiuto grandi opere e neppure per aver intrapreso rivoluzioni.
Gli anni ottanta erano gli anni del superfluo. Gli anni in cui si doveva apparire. Piacere. Dovevamo conquistare gli altri utilizzando il culto del bello. I giubbottini firmati, i jeans di Armani, gli scarponcini Timberlan. Insomma era tutto pronto.
Eravamo in regola con il nostro tempo e potevamo iniziare a conquistarci. “Ci agitiamo come scimmie in libertà” diceva una canzone di quegli anni. Certo animali che cercavamo la stagione dell’amore con stile, ma pur sempre in cerca di adempiere ai bisogni della natura.
Ma quando iniziammo a capire che era arrivato il nostro momento, in televisione compare una notizia che ci fa rabbrividire. Scopriamo che centinaia e centinaia di persone ogni giorno nel mondo, contraggono un virus letale e questo virus lo contraggono proprio assecondando gli istinti sessuali naturali che la storia dell’uomo da sempre ha portato a buon fine senza grandi rischi e pericoli.
E dire che non lo meritavamo proprio. Ci eravamo preparati. Eravamo perfetti. Ma l’AIDS non guardava in faccia nessuno. Attori famosi, ricchi e poveri, uomini e donne. Giovani, vecchi e bambini. La malattia si contraeva attraverso il contatto stretto con altri esseri umani.
Contatto sessuale e ovviamente con le trasfusioni di sangue. Inizialmente ci impaurimmo talmente tanto che per noi poco più che adolescenti il rapporto sessuale iniziava a diventare tabù.
In televisione si parlava di punizione di Dio. Punizione per quelle pratiche demoniache che tanto avevamo atteso di fare nostre. Ma eravamo in provincia e dalle città si alzavano voci sempre più forti. “Immunità! Voglio l’immunità!” cantava un’altro signore del tempo e non si riferiva a quella parlamentare bensì a quella sessuale.
Non se ne poteva parlare della malattia. Sembrava che lo stato stesse aspettando che l’epidemia si esaurisse. Ma non fu così e iniziarono a inculcarci la questione “prevenzione” e soprattutto “precauzione”.
A scuola facevano lezioni in cui ci venivano offerti preservativi e in cui si rammentava la pericolosità delle droghe soprattutto se inserite in siringhe. Già perché a quei tempi potevi calpestare siringhe sparse per le città abbandonate dai drogati.
D’istinto iniziammo a isolare tutte le persone considerate a rischio pensando di liberarci della paura di ammalarci. Poi fortunatamente capimmo che non era necessario isolare nessuno, bastava prendere sempre precauzioni. In ogni occasione. Fino a che la parola AIDS non divenne nuovamente tabù. Proprio come lo è oggi.
Scommetto che anche adesso qualcuno leggendo questa parola uscirà dal post e continuerà a scorrere tra altre notizie. Magari gattini che sbadigliano o cani che scodinzolino saranno visti come ottima alternativa a questo discorso. Lo so che state pensando che vivere in piccole e sperdute città di provincia non può farvi dover pensare a questo, ma non è così.
Ma ci avete fatto caso che non se ne parla quasi più? Vi siete accorti che la questione AIDS sta tornando un tabù proprio come agli inizi degli anni ottanta? Qualcuno si è reso conto che non si vuole affrontare il dramma? Eppure la malattia c’è! Eccome se c’è! Ogni giorno in Italia 11 persone vengono contagiate dal virus.
E contrarlo non è poi così difficile come ci siamo messi in mente. Non lo si contrae certo con il contatto umano, ma con quello sessuale si. E allora perché nessuno vuole parlarne? Forse perché la morte a causa di questa malattia tarda un po’ di più a sopraggiungere rispetto ai decenni passati?
O forse perché grazie a qualche farmaco il malato di AIDS può fare una vita più dignitosa per il,comunque breve, tempo che gli resta da vivere? Possono essere questi i motivi?
Anche nelle nostre zone ci sono malati di AIDS. Perché non parlarne? Perché la nostra giunta non entra nelle scuole a parlare di prevenzione dell’ AIDS? Nessun programma, forse la vendita di una pianta una volta all’anno la domenica mattina davanti a una chiesa frequentata non da molti “giovani a rischio”.
Spero di non essere caduto sul banale, ma il discorso mi premeva farlo.
I nostri figli sono tutti sicuramente santi e perderanno la loro purezza.
Il giorno della prima notte di nozze. Ma nel dubbio che qualcuno dei nostri possa inciampare in qualche bisogno fisiologico, ci conviene parlargli di prevenzione. Tanto l’astinenza non funziona!
di Alessandro Baccetti
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