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Rdc è cosa buona e giusta?

Posted on 10 Febbraio 201919 Marzo 2019 by Alessandro Baccetti

Qualcuno è già andato a chiedere il Reddito di Cittadinanza? Qualcuno ha già interpellato dotti e dottori della finanza per poter chiedere informazioni su questa nuova procedura di “abbattimento della povertà?”.

Le minoranze politiche stanno inveendo contro questa nuova legge definendola controproducente e fuori da ogni sistema economico “sano”. Molti, anzi moltissimi, affermano che non ci sono i soldi per poter intraprendere una manovra come questa e altrettanti smanettano la tastiera del pc scrivendo che per colpa di questi investimenti andremo alla deriva.

Siamo un paese povero e non possiamo permetterci una tale spesa. Ma guardate che manovre come queste in tutta Europa sono presenti da decenni. E in maniera ben più elevata.

Per fare “spettacolo” il movimento 5 stelle ha voluto chiamare questa iniziativa “reddito di cittadinanza”, ma in realtà questo termine è in parte fuorviante, perché definisce una cosa diversa da quanto proposto dal partito. Il reddito di cittadinanza vero e proprio, o “reddito di base” (“basic income” in inglese), è un trasferimento monetario erogato dallo Stato a tutti i cittadini, a prescindere da ogni altra considerazione o distinzione (neanche tra ricchi e poveri).

In senso stretto, è molto difficile che uno Stato possa effettivamente adottare una misura simile: il caso più famoso di eccezione è l’Alaska, dove è sufficiente essere statunitensi e residenti da almeno un anno nello Stato dei ghiacci per percepire un reddito di cittadinanza da almeno un migliaio di dollari al mese.

Quindi iniziamo a ridimensionare l’iniziativa e a darle il giusto peso. Ci sono mille paletti prima di poter accedere a suddetto reddito e, gli “assalti” agli uffici anagrafici per poter cambiare residenza ed ottenere quel reddito tanto agognato, li trovo in parte giustificati.

Sembrerebbe un sogno che si avvera, ma in realtà è semplicemente una operazione che avrebbe dovuto prendere forma da tanto tempo. Pensate che i pionieri di un reddito fisso per i propri cittadini furono i britannici che dettero vita ad una prima forma, per quanto abbozzate, di sostegno al reddito. Siamo sul finire del 1700 quando per la prima volta fu introdotto uno strumento di aiuto economico generalizzato a Spennhamland, nel sud dell’Inghilterra. Invece la prima forma di reddito di cittadinanza propriamente detto venne avanzata da Thomas Paine, filosofo inglese del XVIII secolo: propose che a chiunque avesse compiuto 21 anni fosse assegnata una somma di 15 sterline.

Ma al di là della storia, ancora oggi il Regno Unito prevede l”income support”, concesso a chi non ha reddito (o ha reddito basso) e non lavora a tempo pieno. Il sostegno parte dalle 57,90 sterline a settimana – concesse a un single tra i 16 ei 24 anni – e arriva a 114,85 sterline per le coppie adulte.

Molto ambizioso invece il piano della Royal Society of Arts: tutti i britannici al di sotto dei 55 anni dovrebbero avere diritto a 10mila sterline (i pagamenti sarebbero di 5mila sterline per due anni). Il provvedimento verrebbe applicato in modo graduale, per arrivare con il tempo a diventare un reddito di cittadinanza. Per richiederli non conterà il reddito disponibile ma sarà necessario spiegare come si intendono usare i soldi.

In Francia esiste dal 2009 il Revenu de solidarité active (Rsa) che consente ai beneficiari di ottenere un reddito minimo (circa 550 euro) o un’integrazione di reddito. Per accedervi bisogna avere almeno 18 anni e risiedere in maniera stabile in Francia. Possono beneficiarne anche gli stranieri, se rispettano i requisiti. La durata è illimitata fino a quando non si raggiunge il reddito minimo. Ma il presidente Emmanuel Macron, anche nel tentativo di intercettare il favore dell’elettorato più disagiato, ha appena lanciato un piano ambizioso di lotta alla povertà, all’interno del quale è previsto un “reddito universale di attività” che dal 2020 sarà accessibile anche a chi lavora ma non guadagna abbastanza da poter vivere in maniera decente.

Se andiamo a guardare la tanto invidiata Germania, qui troviamo il cosiddetto “Arbeitslosengeld” che per la sua rigidità si avvicina molto al nostro “pseudo” reddito di cittadinanza italiano. Si tratta di un sussidio mensile destinato a chi cerca un lavoro o ha un salario molto basso (quasi nullatenente). Il potenziale beneficiario deve dare conto di tutte le sue proprietà e addirittura è obbligato a chiudere eventuali polizze vita. Lo Stato garantisce l’assistenza al soggetto che, tra i vari impegni assunti, deve cercare un nuovo lavoro: vanno documentate tra le 5 e le 15 ricerche di lavoro al mese. Il sussidio oscilla attorno ai 400 euro e prevede somme supplementari se in famiglia sono presenti figli.

Salendo per la nostra bella Europa arriviamo in Finlandia dove esiste uno dei meccanismi più particolari anche se pur circoscritto a una platea ristretta. Il governo di Helsinki offre infatti un reddito garantito di 560 euro mensili a 2mila cittadini disoccupati. La soluzione punta a ridurre la povertà, ad aumentare il tasso di occupati e a tagliare le lungaggini burocratiche. I disoccupati non dovranno fornire giustificazioni sul modo in cui spenderanno i soldi e il salario base viene mantenuto anche nel caso in cui il beneficiario trovi un lavoro.

Invece in Danimarca, patria del welfare, uno dei principi cardine è il cosiddetto “kontanthjælp”, forma di assistenza destinata a chi non è in grado di provvedere al proprio sostentamento. La cifra, adeguata all’elevato costo della vita, può partire dall’equivalente di 1.300-1.400 euro al mese. Il beneficiario, oltre a iscriversi alle liste di disoccupazione, deve partecipare a corsi e tirocini per il reinserimento nel mercato del lavoro.

Tutto questo per dire che il reddito di cittadinanza, così come proposto, non ha nulla dì utopico o di fuori dal comune. È una legge che esiste da sempre nei paesi sviluppati e che fino ad ora era stata ignorata da uno Stato come il nostro sempre troppo attento alla superficialità delle cose. Non diamo contro questo decreto (che sarebbe dovuto nascere molti anni fa) e aspettiamo di vedere cosa accade. Chiamiamolo reddito di dignità e lasciamo che faccia il suo corso.

di Alessandro Baccetti

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