Paola: un angelo vestito da diavolo

Paola e la sua storia
È arrivato anche novembre. I viali della città hanno cambiato aspetto e colore. Adoro quel “giallo vivo” che illumina le strade e gli occhi.

Oggi mi andrebbe proprio di incontrare qualcuno che l’autunno se lo porta dentro proprio come me. Qualcuno pronto a cambiare colore in base agli eventi che gli si presentano.

Lei è Paola ed è molto conosciuta a Cirié. È’ conosciuta principalmente per la sua irascibilità e per il suo modo di essere sempre sopra i pregiudizi e le “conformità”. Sta sopra le righe, insomma. Fantastici sono i suoi “buongiorno noir” che dispensa ogni mattina su Facebook.

Non si preoccupa di cosa diranno o di cosa penseranno : vive la sua vita come meglio crede e a quanto pare lo sta facendo nella maniera giusta.

Un viso accesso e allegro, tipico di chi sta vivendo un momento splendidamente complicato. All’apparenza solo casa e lavoro, ma Paola fa un lavoro che si porta dentro.

Un lavoro dove non basta timbrare il cartellino d’uscita per potersi sentire libera. Ci sono dei lavori che ti obbligano a costruire e ad indossare una maschera. Una facciata variopinta che serve solo a coprire un giallo vivo che spesso acceca e stordisce. Il giallo dell’autunno che alcuni di noi, per scelta o per destino, si portano dentro.
“Ecco la paesana Sanpietrese!”

Le dico, riferendomi al fatto che sia mia madre sia i suoi genitori provengono dallo stesso paesino sperduto ai piedi della Sila, in Calabria. San Pietro Apostolo, appunto.
“Come stai? Ci sentiamo spesso via etere, ma ci si vede poco.”
“Stanca ma sto bene. La casa, i bambini e il lavoro mi portano via un sacco di tempo. Quei pochi momenti liberi li passo su Facebook a chiacchierare e ogni tanto a litigare un po’!”
Come la capisco. Stessa cosa vale per me. Ma oggi è del suo lavoro che voglio parlare.
“Cosa intendi per sempre stanca? Dormito poco? Fatto tardi su Facebook a distruggere i fake?”
” no, magari… sai io lavoro anche dodici, tredici ore al giorno.

E poi le notti, quante notti passate sveglia nei corridoi e nelle stanze delle case di cura. Ciò che più ti logora non sono le notti insonni, ma il sapere che per quanto tu possa allievare il dolore di un paziente, questi da un momento all’altro se ne andrà via per sempre. Le mani..”

Rimango fermo e aspetto che continui il suo discorso. Ma pare voglia fermarsi lì, Paola. Aspetto ancora qualche secondo, giusto il tempo di vederla sorseggiare la sua acqua, e cerco di riprendere il discorso.
“Le mani cosa?”
“Quante mani Alessandro ho stretto per l’ultima volta. Tante, troppe. Stringere le mani di un paziente con la consapevolezza che questo è l’ultimo gesto che faranno. Troppe, davvero troppe”

Inizio a capire qualcosa di più del suo lavoro ed inizio a spiegarmi il perché di tanta rabbia mescolata a quei sorrisi.
“Ho visto un post bellissimo che hai messo su Facebook in cui un parente di una tua paziente, presumo, ti dava un aggettivo davvero niente male. Diceva che eri il suo angelo e che ti ringraziava per quello che avevi fatto per lei. Splendido, ma cosa hai fatto per lei e per tutti i tuoi pazienti?”
“Niente, niente di più di ciò che tutti i giorni noi assistenti facciamo. Solo che alcuni capiscono l’impegno che ci mettiamo nel curare i loro cari, altri danno il nostro lavoro per scontato.

Francamente secondo me non ho fatto nulla. L’avventura di sua mamma è iniziata in semiintensiva 45 notti e poi il trasferimento a Villa Grazia.

Ho passato con questa splendida donna 20 notti che iniziavano alle 14 del pomeriggio e finivano alle 8 del mattino. Sai Ale abbiamo festeggiato il mio compleanno io e lei quell’anno con due pasticcini alla panna e per me è stato come se avessi avuto un’altra nonna con me.

Di questa donna ricordo che e’ mancata una domenica mattina dopo lunghe sofferenze. Me la sono lavata tutta…non so neanche io quanto ho pianto quel giorno.

Pensa che sua figlia ha fatto mettere sui manifesti il mio nome ringraziandomi. Non credo di dover essere ringraziata, ma sono io che devo ringraziare loro perché loro danno…danno sempre tanto”
La maschera di Paola adesso è appoggiata proprio lì sul tavolino del bar. Non la sta indossando e di fronte a me credo di vedere davvero un angelo. Passiamo la nostra esistenza a dare risalto alla Vita, e ci dimentichiamo che la vita non finisce con la malattia o la vecchiaia. La vita finisce con l’ultimo battito di ciglia, l’ultima stretta di mano, l’ultima lacrima. E dimentichiamo quanto importante siano le persone che ci accompagneranno in questa inesorabile fine.
Ma Paola lo sa. E molti altri lo sanno.

Adesso si è fatto tardi e entrambi dobbiamo tornare a lavorare. C’è un sacco di cose da fare adesso. Io intanto torno al mio lavoro di sempre con la rassicurazione che la’ fuori ci sono angeli che lottano per la vita, fino all’ultimo respiro. Donne che si battono non solo per la vita degli altri ma che devono lottare anche per la loro che subisce ogni giorno dei duri colpi.

Rindossa la tua maschera Paola!

Senza non riusciresti a superare drammi e sofferenze che non ti appartengono.
Mi incammino verso casa e mi accorgo di voler fare la strada più lunga.

Voglio passare per il viale di Corso Martiri e guardare quelle foglie “giallo vivo” cadere a terra. Se fossi stato bambino ne avrei raccolta qualcuna e l’avrei portata a casa.

Ma non ho più l’età e preferisco osservarle. Molte sono già cadute a terra, mentre altre sono ancora appese agli alberi. So che cadranno, ma per adesso sono ancora lì e sventolano proprio come facevano la scorsa primavera. Ne vedo cadere qualcuna, ma adesso decido di non voler distogliere lo sguardo da quelle che ancora stanno lì, vive e fiere di esserci. Seppure nella consapevolezza che la loro presenza sta per cambiare direzione.
Paola Mazza.

 

Di Alessandro Baccetti

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